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Storie di Monza

Guidotto e Rosa (e quella lapide vicino all'autodromo): la storia del Romeo e della Giulietta della Brianza

Si erano incontrati nel Parco, ma l'odio fra le loro famiglie li portò alla morte. Proprio come nell'opera shakespeariana

Ci troviamo nel cuore del Parco di Monza, tra Monza e Vedano, nel luogo chiamato Bosco Bello e conosciuto secoli fa come Selva dei nobili Gavanti, ai margini del Serraglio dei Cervi, l'elegante costruzione in stile neogotico disegnata dall'architetto Luigi Canonica quale porta d'ingresso alla riserva di caccia dei nobili. Torniamo indietro nei secoli e proviamo per un attimo a cancellare il tracciato dell’Autodromo (dove lì in seguito sarebbe sorto) e a pensare a un'immensa distesa con alberi di carpino, quercia e acero.

In quell'area, fino al 1700, esisteva una lapide in latino eretta a ricordare la romantica e tragica parabola di Rosa de’ Peregalli e Gian Guidotto de’ Lesmi, conosciuti come il Romeo e la Giulietta della Brianza. Una storia d'amore struggente, che la signora di Monza Ghi Meregalli, appassionata di storia locale e ideatrice del corteo storico monzese di giugno, ha voluto raccontare a MonzaToday. 

"Il Bosco Bello è una delle poche testimonianze lombarde dell'antica foresta di pianura ed era già noto del '400 come Selva dei nobili Galanti, un'antica famiglia monzese. Il fisico Giovanni Mezzotti, in un opuscolo stampato a Milano nell'800, lo descriveva come un luogo ameno, posizionato sopra un'incantevole collinetta, dov'era presente un un tempietto dedicandolo a Nostra Signora del Soccorso per la quale, ogni anno, il 15 di agosto si celebrava voto di riconoscenza con una grande festa. Ed è proprio in questa ricorrenza, nel bel mezzo delle danze,.che lo sguardo di Rosa, una giovane ragazza, incrocia per la prima volta quello di Gian Guidotto".

Una festa, quella nel Bosco Bello, descritta anche dal Mezzotti come una tre giorni di divertimento e galanterie: "...Frequentatissima, come era costume, presso gli abitatori delle rive del Lambro che si intrattenean in gran balli e mangiate fino all’alba. Era festa di galanterie e  splendevano di metalli gli uomini d’arme e si vedean svolazzare le piume sui loro cesellati cimieri. Lungo i sentieri che portavan alle Ville v’erano erbe odorose e fiori. Era bello vedere quella gioventù briosa ballare la danza dell’amor felice e della cortesia amorosa...".

Guidotto e Rosa, il Romeo e la Giulietta della Brianza

La leggenda vuole che fosse bastato un semplice attimo per avvicinare i due giovani e farli perdere in un mondo tutto loro, colmo d’amore e passione -  ha raccontato ancora Meregalli - Ma la realtà che li circondava, purtroppo, era ben più cruda e spietata. I due amanti infatti provenivano da due famiglie rivali, i Peregalli e i Lesmi, che si sono osteggiate per generazioni. Non potendo vivere alla luce del sole il loro idillio, Rosa e Gian Guidotto sono dunque stati costretti ad instaurare una relazione segreta, che inizialmente fu solo epistolare".

Un amore, quello tra Gian Guidotto e Rosa, che ricorda davvero da vicino quello tormentatissimo dell'opera  shakespeariana. "Piano piano, le parole scritte su carta, per quanto belle e passionali fossero, iniziarono a non bastare più. E i due decisero quindi di incontrarsi in clandestinità tra le fronde del Bosco Bello. Ed è proprio durante uno di questi incontri che vennero scoperti da frate Lorenzo, un religioso che viveva da eremita nella chiesa di Santa Maria delle Selve, il quale, udita la storia dei due giovani amanti, decise di sposarli in segreto con la speranza che l'unione potesse in qualche modo assottigliare le divergenze tra le loro famiglie".

Un amore tragico

"La storia sembra volgere per il verso giusto, fino a quando quando Guido de’ Peregalli, un parente di Rosa, scoperti i piani dei due innamorati, si presentò per tempo sul luogo del matrimonio e pugnalò a morte il povero Gian Guidotto". Di lì, anche la parabola della giovane innamorata volge a un finale tragico: "Rosa, arrivata poco dopo, aveva tentato invano di rianimare il corpo ormai esanime del suo amato. E così la gioia che le riempiva il cuore prima delle nozze, lasciò spazio alla disperazione e alla consapevolezza che mai, in questa vita, avrebbero potuto amarsi. Procuratasi un veleno mortale, decise così di raggiungere per sempre il suo Gian Guidotto, l’altra metà del suo cuore. Per cercare la felicità in un'altra vita".

Una storia tragica, ricordata nella lapide presente nella collinetta nel Parco fino al XVIII secolo, così come pure si ricorda nell'opuscolo del fisico Mezzotti: "Sull’urna sepolcrale degli infelici amanti una lapide latina ricordava al mondo la loro tragica fine: questa è la tragedia triste di Rosa Peregalli e Gian Guidotto Lesmi i due giovani innamorati del bosco bello di Monza".

Una lapide in seguito scomparsa per lasciare posto nel 1922 alla costruzione dell'Autodromo. Cancellati querce e carpini, nel Parco ha dunque trovato spazio un altro sogno: quello della velocità.

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