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Il Torino diventa biancorosso: la Fiammamonza conquista il Museo del grande Toro

Una dirigente ha donato la sciarpa e il borsone e invita Sandro Mazzola ad andare al Sada a parlare di valori alle giovani generazioni

Che cosa ci fanno un borsone e una sciarpa della Fiammamonza nel Museo del Grande Torino? Una sorta di “gemellaggio dei valori” quello che unisce la gloriosa e sfortunata squadra piemontese che  il 4 maggio 1949 con il suo aereo si è schiantata sulla collina del Superga, e la gloriosa formazione del calcio femminile monzese.

A portare e donare sciarpa e borsone a Grugliasco, al Museo del Torino, è stata Grazia Genco, ex giocatrice della Fiammamonza e attualmente dirigente della società. Grazia ci mostra con orgoglio i documenti che attestano la sua donazione. Una donazione che è partita dal cuore, come la passione che Genco ha per il pallone.

“Sono molto legata al grande Toro – racconta a MonzaToday – . È una passione che mi ha trasmesso Camillo Consonni, papà di una giocatrice della Fiammamonza e grande tifoso del Toro. Mi sono documentata su quella squadra e su quei giocatori, sui valori che all’epoca portavano in campo e nella vita. E in fondo quel Torino assomigliava tanto a quella Fiammamonza degli anni Settanta. Una Fiamma dove mister Levati e la moglie Natalina Ceraso hanno cresciuto intere generazioni di giocatrici. Ragazze che dovevano essere campionesse prima di tutto nella vita, e poi sul campo”.

Per Grazia Genco il calcio è palestra di vita. “Fin da bambina sono cresciuta con il rispetto per il sacrificio – prosegue – . Ogni volta che scendevo in campo ci mettevo il massimo: nelle gambe, nel cuore e nella testa. Sono riuscita a realizzare il grande sogno di giocare in serie A. Sono valori che ancora oggi trasmettiamo alle nostre giocatrici”.

Grazia Genco vive di sogni che con impegno cerca di realizzare. A adesso che è riuscita a portare la sua Fiammamonza persino al Museo del Torino, ha un altro desiderio. “Vorrei che Sandro Mazzola, figlio del grande Valentino capitano del Torino,  venisse un giorno allo stadio Sada a raccontare in prima persona quei valori sani del calcio che lui ha vissuto sui campi”.

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