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Coronavirus, in Lombardia si muore più che nel resto d'Italia: tasso di letalità al 5,4%

Lo studio dell'osservatorio sulla salute nelle regioni. In Lombardia il 36,7% dei morti

La regione più colpita. La regione con più vittime. La Lombardia si conferma la zona d'Italia che ha pagato il prezzo più alto all'epidemia di coronavirus. A certificarlo, di nuovo, è l’osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane dell'università Cattolica, che ha analizzato i dati dal 12 ottobre al 6 dicembre, verificando come "il covid non uccide ovunque allo stesso modo". 

La mortalità, spiegano gli esperti, si "manifesta con estrema variabilità nelle regioni italiane, andando da un massimo del 5,4% dei positivi in Lombardia a un minimo dell’1,3% in Campania, con una media del 3,5% a livello nazionale". 

Il perché di questa differenza - con la Lombardia che risulta la regione con un tasso di letalità più alto - non è "attribuibile solo alla fragilità della popolazione anziana, quella più colpita dal virus", rimarcano dall'osservatorio. I motivi, sottolineano, "andrebbero ricercati tra un ventaglio molto ampio di fattori: carenze organizzative, ritardi iniziali nel comprendere la gravità dell’emergenza, deficit nei sistemi di tracciamento dei contagi, diversi livelli di aggressività del virus, comportamenti individuali e scelte dei Governi centrali e locali".

"Un’altra possibile pista interpretativa è che alcuni territori sono interessati da un livello elevato di mobilità, si tratta di luoghi in cui si svolgono la maggior parte delle proprie relazioni sociali ed economiche. Queste aree, con molta probabilità, sono state sottoposte a un rischio maggiore di contagio - evidenziano dalla Cattolica -. La Lombardia, per esempio, è la Regione con la più alta intensità degli spostamenti e dove si è registrato un numero elevatissimo di contagi".

Di contagi e di vittime, appunto: 

Dall’inizio della pandemia al 14 dicembre nel nostro Paese si sono registrati 65.011 decessi, dei quali il 36,7% avvenuti in Lombardia. 

E se i tanto movimenti e le carenze organizzative possono aver favorito la prima ondata, le aperture estive - secondo gli esperti - hanno aperto la strada alla risalita dei casi, poi scoppiati a macchia di leopardo in tutta la Penisola. 

“L’allentamento dell’attenzione ha favorito i contagi nel periodo estivo, soprattutto tra i giovani e questo ha rinfocolato e, probabilmente, anticipato la seconda fase della pandemia - la teoria di Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica, direttore dell’Osservatorio e consulente del governo - . Si è trattato di un errore che ha coinvolto nella pandemia anche le Regioni del Sud Italia, già in difficoltà con i loro Sistemi Sanitari e che nella prima fase erano state solo sfiorate dall’emergenza sanitaria. La riapertura delle scuole, ancorché doverosa, e l’allentamento delle restrizioni alla circolazione hanno amplificato la diffusione dei contagi”.

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