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La caduta

È finito il governo di Mario Draghi

Con la decisione congiunta di M5s, Lega e Forza Italia, l'ex presidente della Bce ha perso il sostegno del Parlamento

Con 95 "sì" e 38 "no" Draghi ottiene la fiducia del Senato ma politicamente è la certificazione dell'assenza delle condizioni per il proseguimento dell'esecutivo del Presidente del Consiglio. Così è finito il governo di Mario Draghi, il sessantasettesimo esecutivo della Repubblica Italiana, il terzo della diciottesima legislatura, in carica dal 13 febbraio 2021.

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La caduta di Mario Draghi: la giornata

Il voto è arrivato prima delle 20 ma era già chiaro intorno alle 18,30 cosa sarebbe successo quando, nell’Aula, la capogruppo del Partito democratico Simona Mallpezzi spiegava: "Deve essere chiaro a tutti che, chi oggi non rinnova la fiducia al governo, deve dire al Paese che rinuncia ai tredici miliardi del decreto di fine luglio, alle riforme, al Pnrr. Il gruppo del Pd voterà convintamente la fiducia. Noi non abbiamo paura del voto ma abbiamo paura di lasciare il Paese senza una guida nei prossimi mesi". Le parole di Malpezzi hanno suonato come i violini sul Titanic che si sta inabissando. Infatti, proprio durante l’intervento della democratica, da destra arrivava la conferma che Forza Italia e Lega non avrebbero votato la risoluzione di fiducia proposta da Pierferdinando Casini e su cui Draghi ha chiesto che si ponesse la fiducia. Così, con la scelta del centrodestra, al netto di quella che sarebbe stata poi la posizione del Movimento 5 Stelle, si è certificata la fine del governo Draghi.

Una decisione arrivata al termine di una giornata lunga e molto calda, non solo per la temperatura rovente dentro e fuori di Palazzo Madama ma anche per le tensioni registrate dentro varie forze politiche. Si sapeva che il Senato sarebbe stato un pantano per Draghi, che si è presentato con un discorso all'Aula in cui ha bacchettato diversi partiti del suo esecutivo, ma ha sorpreso il rimprovero al centrodestra nel suo discorso. Parole dure che hanno fatto ritrarre forzisti e leghisti, riunitisi subito in un vertice straordinario a Villa Grande a Roma, a casa di Berlusconi. Poi il colpo di scena quando, per i corridoi del Senato, è circolata la voce di un diktat dall’alto a tutti i parlamentari per ritirare gli interventi della successiva discussione. Avrebbe parlato solo un esponente per partito.

La partita a scacchi fra centrodestra e M5s

Era chiaro come i partiti stessero prendendo tempo. Lo scenario che M5s si sfilasse e si andasse avanti come se nulla fosse, era sorpassato. Ora anche Salvini e Berlusconi non erano più convinti. Cosa che ha portato a temporeggiare anche il Movimento 5 Stelle: Conte e i suoi infatti non volevano la fine del governo, ma essere liberi di votare contro, restando all’opposizione. Ma con le fibrillazioni dentro Lega e Forza Italia, il piano sarebbe saltato.

Tuttavia non era detta l’ultima parola, almeno per i 5 Stelle. Molto dipendeva dalla replica che Draghi avrebbe dato alle risposte dei partiti al suo discorso. Draghi non si è mosso di un centimetro. Anzi ha colpito duro il Movimento 5 Stelle. "Sul salario minimo ho detto quello che dovevo dire, c'è una proposta della commissione europea" ha detto Draghi e poi, sul Reddito di cittadinanza, sul Reddito di cittadinanza ha ribadito di aver sempre detto "che è una cosa buona, ma se non funziona è una cosa cattiva". Poi l’affondo contro Conte quando ha tirato in ballo il Superbonus: "Il problema non è il superbonus ma il meccanismo di cessione disegnato da chi li ha disegnati senza discrimine o discernimento, è lui o lei o loro il colpevole della situazione in cui si trovano migliaia di imprese che stanno aspettando i crediti".

Era ormai chiaro come la via per un Draghi bis fosse chiusa. "Non credo che si può votare un governo del genere. Draghi ci è andato ancora più pesante nella replica che non nel suo discorso introduttivo" ha detto una senatrice penstastellata mentre lasciava l’Aula, prima della votazione finale che avrebbe obbligato Draghi a confermare le dimissioni congelate giorni prima da Mattarella. 

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