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Cronaca

Nano, Seba, cinno, il gonfio e il nonno: la banda che ha fatto 3 milioni e mezzo coi bancomat

Maxi operazione dei carabinieri: 10 in manette. Sono accusati, a vario titolo, di 73 colpi alcuni dei quali commessi proprio nella provincia di Monza e Brianza

È il 7 marzo del 2019, a bordo di una Kia Rio bianca ci sono due uomini che parlano tra loro. Uno dei due - il più giovane, un 28enne che gli amici chiamano "cinno" - scorre la home di Facebook sul cellulare e legge i post di alcuni cittadini che in un gruppo social si lamentano dei danni causati da un'esplosione a un bancomat avvenuta la notte precedente. Probabilmente sorride e poi, senza sapere che ad ascoltarlo c'è qualcuno, si lascia andare a un eloquente: "Che cazzo c'è di male?". Già, perché per il "cinno", il ragazzino in dialetto bolognese, evidentemente non c'è nulla di male. D'altronde - e il suo curriculum criminale parla per lui - è quello che ha sempre fatto, è quello che sa fare meglio. 

Ed è quello che ha fatto anche qualche ora prima. Perché il 28enne - al secolo Zakaria Siyadi - è uno degli uomini della "banda del Pilastro", l'organizzazione che da febbraio 2017 ad aprile 2019, in poco più di due anni, ha fatto letteralmente saltare per aria 73 bancomat in giro per la Lombardia, con puntate a Roma, Piacenza e Novara. Insieme a lui quel giorno in auto c'è Claudio Mantuano - 53 anni, noto come "Claude" - e autista della banda.

Perché in quella "batteria" nata proprio al Pilastro - la zona di Bologna dalla quale storicamente arrivano molti dei "bancomattari" - ognuno ha il suo ruolo e il suo compito. L'organizzazione la decide Giuseppe Molinelli, un 40enne ribattezzato "il nano" e che, così si legge nelle carte, "nonostante la giovane età vanta una lunga esperienza". Il suo secondo è Sebastiano Corso, che di anni ne ha 43 e che gli altri chiamano, con poca fantasia, semplicemente "Seba". A chiudere il "cerchio magico" c'è poi Giuseppe Quitadamo: 51 anni, "il vecchio", con una personalità strabordante e capace di farsi rispettare pur non essendo il capo. 

Gli uomini della banda 

I cinque da giovedì mattina si trovano dietro le sbarre perché i carabinieri del nucleo investigativo di Milano, coordinati dai pm Laurea Pedio e Leonardo Lesti, sono riusciti a ricostruire per filo e per segno la loro banda e le loro azioni degli ultimi anni.

Il "cinno", Claude, il "nano" - che è stato preso a Benidorm, in Spagna, dove aveva aperto un locale -, Seba e il "vecchio" devono rispondere delle accuse, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti con miscela esplosiva, riciclaggio e ricettazione. 

Insieme a loro, nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice Fabrizio Filice, ci sono finiti i nomi di altri cinque uomini, tutti ai domiciliari. Tra loro c'è Stefano M., "il gonfio": un culturista di 50 anni che doveva aprire una palestra insieme al capo della banda e che, per conto della banda, si occupava della parte logistica dei colpi.  

Salvatore P., un 46enne con un naso particolarmente pronunciato - per tutti gli altri infatti era "nasone" - aveva invece il compito di fare da palo e di avvisare gli operativi in caso di arrivo delle "corne", il modo in cui i criminali avevano ribattezzato le forze dell'ordine. Mirko C. e Stefano B. - 35 e 61 anni - erano invece stati scelti come prestanome per intestare le auto da utilizzare per i blitz, mentre Nicola M. avrebbe preso ad almeno tre dei colpi contestati. 

Come agiva la banda

I fari degli investigatori sulla banda si sono accesi a fine 2018, quando i militari hanno notato un aumento esponenziale degli assalti ai bancomat tra le province di Milano, Monza, Bergamo e Brescia. La prima svolta è arrivata a inizio 2019, quando il proprietario di un box in zona Rubattino a Milano ha allertato il 112. L'uomo ha raccontato di aver aperto il garage per cambiare la serratura - perché chi l'aveva preso in affitto non pagava più da qualche mese - e di aver trovato all'interno una Audi ma soprattutto passamontagna, esplosivi e un bigliettino con gli indirizzi di 35 banche, molte delle quali già colpite nei mesi precedenti. 

Quel box, hanno poi accertato gli investigatori, era proprio una delle basi della banda, tanto è vero che qualche giorno dopo - ad appostamenti e intercettazioni già avviate -, i carabinieri hanno immortalato in zona il 28enne "cinno", con ogni probabilità arrivato da Bologna proprio per cercare di risolvere la situazione. 

Purtroppo per la banda, però, la prima tessera del puzzle era ormai in mano ai carabinieri, che giorno dopo giorno - telefonata dopo telefonata - sono riusciti a ricostruire il quadro completo, arrivando anche ad arrestare alcuni di loro in flagranza subito dopo uno degli assalti.

E a nulla è valso il tentativo dei criminali, da veri professionisti, di restare dei fantasmi utilizzando telefoni citofoni - che comunicano solo tra due sim -, auto intestate a prestanomi e neanche quella pausa di un mese scattata dopo la scoperta di una microspia all'interno della Kia Rio. 

I taxi e le frecce

Con pazienza e calma, i militari del nucleo investigativo sono riusciti a incastrare la banda alle proprie responsabilità, ricostruendo nei dettagli anche il modus operandi dei banditi. Un copione all'apparenza semplice, ma evidentemente di successo. 

L'operazione partiva sempre da Bologna: da lì gli uomini scelti per il colpo - quattro, sei o sette a seconda del bottino previsto, poi da spartire - si muovevano a bordo di auto pulite, che in gergo chiamavano "taxi". Arrivati nella città designata per il blitz, entravano in scena le "frecce": due macchine - una era sempre un'Audi, l'altra o una Golf o una seconda Audi - che portavano fuori dalla banca il gruppo. 

A quel punto i due autisti restavano al volante, col motore acceso, mentre gli altri davano il via alle danze. Il "cinno" era quello col ruolo più delicato: a lui spettava infilare un piede di porco a forma di T nell'Atm del bancomat per aprirsi un varco e inserire la marmotta, una vera e propria bomba artigianale che lui stesso aveva preparato in precedenza in uno dei box presi in affitto. Quindi il nano innescava l'esplosione e in 120 secondi al massimo i soldi venivano fatti sparire e le frecce ripartivano verso l'Emilia fino ad arrivare a una cascina in provincia di Bologna, che era la "casa" della banda.  

Così, in due anni di "lavoro", la banda ha messo insieme colpi per 3 milioni e mezzo di euro. E parte di questi soldi arrivano anche da Monza e Brianza dove il gruppo aveva colpito a Limbiate, Vimercate, Arcore, Biassono e Brugherio. E proprio da quest'ultimo comune brianzolo la banda si era portata via poco meno di 50mila euro nel dicembre 2018. E i banditi avrebbero continuato a fare soldi, tanti, se non fossero arrivati i carabinieri, perché come diceva proprio il "cinno" dopo uno dei colpi: "Stiamo bene insieme, noi". 

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