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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Vimercate

Con il computer e un banco sul marciapiedi perché "la scuola non è uno schermo"

L'iniziativa di tre studenti di terza media a Vimercate. Mancano i compagni, manca la normalità: "Anche essere qua fuori da scuola oggi è un momento bello"

Il computer a mostrare in video il volto dei professori come se fossero in cattedra e in collegamento i compagni, vicini su uno schermo ma distanti perchè ognuno dalla propria casa. E poi un tavolo da campeggio sul marciapiede davanti alla scuola dove la campanella ormai non suona più, il pc, le cuffie e uno sgabello su cui sedersi come se fosse un banco. Pezzi di normalità messi insieme per dare di nuovo forma a quello che il coronavirus ha distrutto: la scuola e le prospettive di generazioni di ragazzi che chiedono di poter tornare sui banchi, insieme ai compagni a imparare e a crescere.

E per far sentire la propria voce anche a Vimercate qualcuno ha scelto di studiare fuori da scuola, seguendo le lezioni a distanza davanti ai cancelli dell'istituto. Succede in via Mascagni, fuori dalla scuola media Calvino, dove da martedì Giacomo, Pietro e Giacomo - studenti della 3B - fanno lezione su un marciapiedi. Mascherina sul volto e distanza di sicurezza, ognuno con il proprio "banco" improvvisato e il computer.

Vimercate, con il banco e il pc fuori da scuola

"Vorremo poter tornare a scuola ma sappiamo che adesso purtroppo è impossibile, sarebbe un passo da gigante e allora abbiamo pensato di seguire le lezioni qui fuori per riuscire a far sentire la nostra voce e chiedere un aiuto e un supporto anche per i nostri compagni che sono in difficoltà a seguire le lezioni a distanza" spiegano i giovani studenti che fanno 38 anni in tre.

La scuola - quella vera - manca. E hanno deciso di scriverlo nero su bianco sui cartelloni che hanno preparato per "arredare" la loro aula di strada: "La squola non è uno schermo" (Gli errori ortografici sono voluti e ci spiegano anche il motivo della scelta). E ancora "Habbiamo dirit(t)o allo studio senò rimaniamo capre". Questa no, non è scuola. O per lo meno non è la scuola che manca a questi ragazzi. "Abbiamo preparato questi cartelli con questi messaggi con errori ortografici proprio per far capire che se la didattica prosegue così ci saranno pesanti conseguenze sull'apprendimento: tanti - soprattutto i bambini più piccoli nel caso di un secondo lockdown che interessi anche le elementari - fanno fatica a studiare" spiegano gli studenti.

L'idea è venuta per caso durante una conversazione a casa in famiglia. "Stavamo parlando di Anita e degli altri ragazzi stanchi della didattica a distanza e della mancanza di contatto e hanno deciso di studiare fuori da scuola anche loro" spiega Martino De Mori, giornalista e papà di Giacomo che ha raccontato di questa iniziativa. "Chiedono la possibilità di tornare a scuola e noi abbiamo appoggiato l'iniziativa che per ora hanno intenzione di proseguire fino a venerdì".

"E' una protesta legittima" spiega la responsabile di sede Carla Scrosoppi che di tanto in tanto si affaccia a controllare che ai ragazzi non serva nulla. "E' giusto che manifestino se hanno delle cose da dire. Il diritto all'istruzione è sacrosanto". "La scuola fatta così non è scuola: dopo sei mesi di chiusura degli istituti trovarci di nuovo in questa situazione sicuramente anche per i ragazzi è pesante anche perchè hanno sempre dato dimostrazione di grande responsabilità in classe, indossando la mascehrina e rispettando il distanziamento". 

Quel "banco" sul marciapiedi che sa di normalità

A tutti manca la normalità: il confronto con i compagni di classe e con i professori, la possibilità di lavorare in gruppo o semplicemente di scambiarsi uno sguardo o una risata condivisa. E uscire di casa con il proprio "banco" e il computer per andare a seguire le lezioni fuori da scuola almeno in parte restituisce una parvenza di normalità. "Con la didattica a distanza ci svegliamo più tardi, ci mettiamo davanti al computer magari in pigiama o con una felpa e di fatto restiamo addormentati fino a metà mattinata" racconta Giacomo. "Così dopo la prima ora, per non accavallarci con l'orario di ingresso dei compagni della prima media e delle elementari, veniamo qui". Le giornate rivoluzionate dalla pandemia sembrano tutte uguali: mancano gli amici, le uscite e lo sport. "Io giocavo a basket e passare da cinque allenamenti a settimana a 0 è stato strano" spiega Giacomo. A Pietro invece il covid ha tolto il nuoto e la piscina: "Ora cerco di tenermi in forma uscendo a correre oppure allenandomi a casa". Per Giacomo invece si è interrotto il percorso sportivo con il calcio: niente più allenamenti, momenti di condivisione in squadra e partite.

"Anche essere qua fuori da scuola oggi è un momento bello" dicono all'unisono. Perchè il virus fa paura ma a spevantare i ragazzi è soprattutto quello che toglie: normalità, affetti e libertà. "Il virus è una sfida: più che il covid in sè che per alcuni è solo una febbre e per altri pari alla peste, a fare la differenza sono le persone e il rispetto delle regole" spiega Giacomo. "E' come una sorta di arma che se ci colpisce non è detto che ci uccida, come quando si è colpiti con una pistola. Ma l'unica arma che abbiamo noi in mano per difenderci siamo noi stessi, la nostra forza di volontà" fa eco l'altro Giacomo. Più che paura il virus fa rabbia: "La mia normalità mi piaceva e ora non mi piace più". E per descrivere un nemico invisibile che però ha tolto tutto dalle loro vite scelgono ancora una metafora: "Il coronavirus è come una gemma che se tolta distrugge la normalità", per citare le Gemme dell'Infinito del film Marvel Endgame.

In attesa di poter tornare davvero a studiare in classe, in una scuola e insieme ai compagni, i ragazzi pensano a proposte alternative che possano restituire almeno una apparenza di normalità. "Vorremmo attirare altri compagni qui con noi o coinvolgere professori che siano disponibili a svolgere lezioni outdoor, magari in un parco". 

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