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La famosa (e antica) collezione d'arte che è stata rubata a Monza

Fra le opere trafugate anche il dipinto ritrovato dai carabinieri e riconsegnato ai Musei civici

Sono circa 1 milione e 300mila i beni culturali sottratti in Italia negli ultimi 50 anni e per i quali i carabinieri del Nucleo Tpc (Tutela patrimonio culturale), dal 1969, sono impegnati per cercarli di riportarli alla fruizione pubblica.

Fra queste opere ce ne sono alcune della famosa collezione monzese istituita nel 1923 da Eva Galbesi, vedova Segrè, donata con lascito testamentario al comune di Monza. Un'ingente collezione di dipinti, stampe antiche e oggetti d’arte che ha posto le premesse per la costituzione degli odierni Musei civici e della quale si è tornato a parlare in occasione del ritrovamento della "Veduta del Colosseo", un dipinto del XVII secolo trafugato insieme ad altre 10 tele nel 1974 in Villa Reale, allora sede della pinacoteca civica.

La collezione monzese

Galbesi e il marito Segrè, grandi collezionisti d'arte, si erano trasferiti da Milano a Monza, in un villino di viale Cesare Battisti all'interno del quale erano custodite oltre 1500 opere di loro proprietà.Un centinaio delle quali, una volta divenuta vedova, Galbesi decideva appunto di donare donare al comune.  

Nel 1935 fu istituita negli spazi delle Villa Reale la pinacoteca cittadina e i dipinti lasciati dalla Segrè, insieme ad altri donati dalle famiglie monzesi, ne costituirono la parte preminente. "Poco si conosce dei criteri collezionistici con i quali era stata formata la raccolta, costituita da un repertorio di opere comprese tra il XVI e il XIX secolo nel quale spiccava un nucleo di maestri gravitanti intorno a un’area centro padana e veneta - spiegano dai Musei civici -  Rappresentativi del gusto della committenza religiosa e nobiliare a partire dal XVI secolo i soggetti si rifanno a temi sacri o mitologici. Presenti, anche se in misura minore, la natura morta e la scena di genere".

Il dipinto rubato a Monza 50 anni fa

Nella collezione Segrè la "Veduta del Colosseo", il dipinto del XVII secolo, realizzato con la tecnica dell’olio su tela, trafugato nel 1974 in Villa Reale.

Nelle cronache cittadine dell’epoca sul “furto alla pinacoteca della Villa reale” si poteva leggere come fossero sparite ben 11 tele d’autore per un valore di 10 milioni di lire e le foto sulle maggiori testate giornalistiche ritraevano l’allora direttore della pinacoteca che mostrava il buco praticato dai ladri per rubare i quadri. Si leggeva come il custode avesse trovato una finestra scardinata e che a sparire erano state alcune tele come "Scene medievali" di Filippo Abbiati, un'Annunciazione di scuola veneziana del XVII secolo e il "Ritratto della Signora Vera" del Mosè Bianchi.

Il dipinto trafugato e ritrovato dai carabinieri rappresenta una veduta del Colosseo dalla parte più diroccata, con l’edificio in stato di abbandono ricoperto in parte dalla vegetazione. "Sul lato destro del quadro appare una parte di colonnato classico, anch’esso in rovina, mentre sullo sfondo, a sinistra, si nota parte di un muraglione e un piccolo edificio, simile a una porta o a una facciata di chiesa di gusto barocco, con volute e timpani triangolari - spiega Francesca Milazzo, responsabile dei servizi educativi del Musei civici -  L’opera è pervenuta al comune di Monza dal lascito testamentario di Eva Galbesi Segrè del 1923, senza indicazioni sull’autore. Risulta esposta in pinacoteca, nella sede in Villa Reale, già nel 1945. Successivamente gli inventari segnalano alcuni spostamenti all’interno delle sale, sino al furto denunciato il 7 giugno 1974".

"Il Caramel (1981) è il primo ad avanzare un’ipotesi attributiva nel suo catalogo delle opere dei Musei Civici, suggerendo come autore François Didier de Nomé, detto Monsù Desiderio, pittore di origini francesi ma attivo in Italia e in particolare a Napoli nei primi decenni del Seicento - continua ancora Milazzo -  Ragionevolmente, vista le differente cifra stilistica tra l'opera e gli altri lavori di Desiderio, ragionevolmente  il dipinto andrebbe collocato nell’ambito di una bottega romana di metà Seicento, nel contesto della fortunata produzione di vedute e capricci che traggono ispirazione dalle vestigia dell’antichità classica, spesso collegata a pittori di origine nordica trapiantati a Roma".

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