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Cronaca

"Hanno pezzi di vita dentro sacchetti di plastica", Silvia e Andrea volontari monzesi che aiutano chi è fuggito dall'Afghanistan

Hanno 54 anni in due e quando si è presentata l'occasione di partire per Edolo i due volontari della Croce Rossa di Monza non hanno esitato. Sono stati giorni difficili, con turni pesanti per non far mancare nulla a chi in questo momento ha bisogno di loro. "Essere qui è un onore"

Un viaggio di poco più di cento chilometri da Monza a Edolo, nel cuore verde della Valcamonica, in provincia di Brescia. Per tendere una mano, accogliere e assistere chi di chilometri ne ha fatti quasi cinquemila, scappando. In fuga da Kabul e Herat per mettersi in salvo dalle possibili ritorsioni dei talebani che hanno preso il controllo dell'Afghanistan. 

Silvia Petrolillo e Andrea Valandro, 21 e 33 anni, monzesi, sono due dei volontari della Croce Rossa che da qualche giorno si trovano nella base di addestramento militare dell'Esercito Italiano a Edolo trasformata in centro di accoglienza per 104 persone tratte in salvo grazie alla missione Aquila Omnia. Si tratta di cittadini che nei vent'anni di presenza italiana in Afghanistan nell'ambito della missione Isaf (International Security Assistance Force) hanno collaborato con la base del governo. Funzionari, interpreti, impiegati, commercianti e addetti ai servizi. Famiglie con bambini al seguito che sono riuscite a salire su un aereo e decollare dalla guerra. Nei loro occhi la paura della fuga, nella testa le immagini di un Paese - il loro - che probabilmente non rivedranno più. 

Silvia e Andrea, volontari monzesi a Edolo 

In quell'angolo di valle verde - un piccolo mondo sospeso tra il passato da cui sono fuggiti e il futuro che li attende ancora tutto da ricostruire - Silvia e Andrea insieme agli altri volontari si occupano di tutto quello che serve agli ospiti. Dalla consegna dei pasti ai prodotti per l'igiene fino alle richieste di medicinali o giocattoli per i più piccoli. Degli oltre cento rifugiati che sono stati accolti a Edolo e che sono stati fatti accomodare in stanze per osservare la quarantena in attesa di una nuova destinazione quasi la metà sono bambini. Alcuni molto piccoli. "Ci sono dei neonati di qualche mese e altri bimbi un po' più grandi: consegnamo alle mamme latte in polvere oppure assistiamo quelle donne che allattano" racconta Silvia - 21 anni, studentessa di Ingegneria dell'Ambiente al Politecnico di Milano - abbassando la voce quasi per non disturbare anche con il ricordo l'intimità di momenti unici e insieme difficili che ha visto scorrere davanti ai suoi occhi.

FOTO - Andrea e Silvia, i volontari monzesi a Edolo

andrea silvia volontari croce rossa-2

Insieme a lei e agli altri volontari giunti a Edolo c'è Andrea, 33 anni, tecnico per conto di una grande azienda e da dieci anni volontario del Comitato della Croce Rossa di Monza che in passato ha già avuto altre esperienze di campi di emergenza in seguito al terromoto di Mantova e al terrmoto del 2016 a Camerino. "Di solito quando operiamo in campi di emergenza abbiamo la possibilità di organizzare attività e intrattenimento, soprattutto per i più piccoli ma con la pandemia e le limitazioni non possiamo interagire con gli ospiti e nemmeno coinvolgere i bambini" spiega. E così nelle piccole manine di chi non conosce dove si trova ma sa di non essere più a casa sua i volontari consegnano pennarelli colorati e fogli bianchi per dare forma, almeno con la fantasia, al sogno di un futuro diverso.

"A vedere la loro vita dentro sacchetti mi veniva da piangere"

"Quando li abbiamo accolti e aiutati a scendere dai pullman al loro arrivo a me veniva da piangere" - racconta Silvia - "Avevo le lacrime agli occhi vedendoli portare in mano tutto ciò che avevano: in un sacchetto tra le loro mani c'era tutta la loro vita. Tutto ciò che rimaneva di casa". "Sono tutti estremamente gentili: ringraziano sempre e sorridono" aggiunge Andrea. "I bambini conoscono solo due parole di italiano: ciao e grazie. E ringraziano in continuazione e sorridono. E vedere questo è bellissimo" dice Silvia che da un giorno all'altro è partita da Monza per raggiungere la caserma di Edolo perchè sentiva di dover fare qualcosa o almeno esserci. "Mi riempie di gioia vedere persone che sono felici con quel poco che hanno mi ha aiutato a capire cosa è importante e ti fa ragionare sulla tua vita" ha spiegato. "Che strazio vedere che sono persone come noi, alcuni studenti o laureati, che da un giorno all'altro hanno dovuto abbandonare la propria casa e scappare. Potremmo esserci noi al loro posto. La cosa più bella è stata vedere i bambini che sorridevano e giocavano. È un vero onore essere qui per loro".

Quasi nessuno parla di quello che è stato. Del lungo viaggio per arrivare lì. Della paura e dell'angoscia della fuga. Un po' perchè in pochi conoscono l'italiano e perchè nessuno vuole ricordare. Però dietro le mascherine si intravedono sorrisi che illuminano anche gli occhi quando qualcuno tende loro una mano per porgere qualcosa. Riconoscenza e anche stupore per quel luogo nuovo, così diverso dai profili aridi dell'Afghanistan. "Questa mattina abbiamo visto qualcuno che fotografava il panorama e nei loro occhi c'era meraviglia. Questo è davvero un posto bellissimo e per loro deve essere anche un paesaggio nuovo". E un nuovo inizio. 
 

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