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Due mesi e una multa per abbandono dei rifiuti nella villa brianzola all'erede del Cigno Nero

Arianna Ricci, figlia della contessa Marianna Augusta Moneta Caglio, storica testimone del "caso Montesi", è stata portata in tribunale dal comune

Due mesi di detenzione con la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna. Subordinata però al pagamento, entro 3 mesi dalla sentenza definitiva, di una provvisionale di 10mila euro sul risarcimento dei danni al comune di Caponago.

È quanto ha disposto il Tribunale di Monza nei confronti di Arianna Ricci, figlia ed erede della contessa Marianna Augusta Moneta Caglio Monneret de Villard, storica testimone del famoso caso legato alla morte di Wilma Montesi, il cui corpo è stato trovato sulla spiaggia di Torvaianica nel 1953. L'erede della contessa, meglio conosciuta come il Cigno Nero (nome affibbiatole allora dalla celebre giornalista Camilla Cederna  per via del lungo collo, elegante e aristocratico, da mannequin), era infatti stata citata in giudizio dal Comune di Caponago, costituitosi parte civile con l’avvocato Franco Silva, per non aver dato seguito all’ordine di rimuovere gli accumuli di rifiuti nell’antica di villa nobiliare di famiglia. Ua villa nella quale la figlia della contessa ha continuato a vivere anche dopo la morte della madre, avvenuta nel 2016, e che ancora secondo il comune ancora l'erede non ha mai proceduto a mettere in sicurezza.

Una vicenda, quella legata alla Villa Moneta Caglio, che ha visto dunque più volte intervenire a proposito l’amministrazione comunale brianzola. Che a tal proposito ha reso noto di aver speso negli anni oltre 80mila euro soltanto per ricostruire la struttura del muro pericolante in via Santa Giliuana (dovendo ricorrere per questo anche al divieto di transito) e altre decine di migliaia di euro per le bonifiche nel giardino. Lasciato nel degrado e nella sporcizia, con colonie di topi insetti di ogni genere, e alberi pericolanti. Di qui gli interventi per la disinfestazione, il primo dei quali costato 20mila euro e deciso all'insediamento, nel 2014, del sindaco Monica Buzzini.

Nella giornata di martedì 9 gennaio è arrivata la sentenza pronunciata dal giudice del Tribunale di Monza, che ha sentenziato che la Ricci dovrà pagare 10 mila euro per i danni oltre alle spese legali. 

"Personalmente come sempre dico la pubblica amministrazione ha tempi lunghi ma nulla è mai 'fermo' - ha commentato a proposito il sindaco Monica Buzzini - L'abbiamo già visto con altre sentenze che hanno visto l'amministrazione protagonista e anche avere ragione. Non è mia 'soddisfazione' la sentenza in sè per quanto riguarda le conseguenze personali della proprietà, ma è di soddisfazione per la dimostrazione che nulla di tutto ciò che abbiamo chiesto in questi anni alla proprietà stessa è stato fatto e per tutela di tutti i cittadini ho fatto solo il mio dovere".

Il caso Montesi

Il 21 gennaio 1957 si apre nel tribunale di Venezia quello che la stampa avrebbe definito il "processo del secolo". Al centro del processo la morte di Wilma Montesi, una ragazza di 21 anni il cui corpo, nell'aprile del 1953, viene ritrovato sulla spiaggia di Torvaianica dopo un festino in un bungalow di Capocotta, poco lontano dal mare.  

Una vicenda che per tutti diventa "lo scandalo" per eccellenza e che scuote tutta l'Italia. Nello festa a Capocotta, insieme a ragazze povere, ingenue, ma molto belle, ci sono infatti anche nomi importanti. Cè una supertestimone, più volte applaudita a scena aperta dal pubblico presente in aula. Si tratta di Marianna Augusta Moneta Caglio Monneret de Villard, discendente di una nobile famiglia che fu titolare della Zecca di Milano (da qui il nome Moneta), le cui rivelazioni che puntano il dito sui potenti destano scalpore: fra tutti Piero Piccioni, figlio dell’allora potentissimo ministro degli Esteri  democristiano Attilio, che viene accusato della morte della 21enne, e ancora il marchese Ugo Montagna, con il quale all'epoca la contessa dichiara di essere fidanzata.

Nell'aula di Tribunale anche la celebre giornalista e scrittrice Camilla Cederna, che affibbia alla ragazza il soprannome di Cigno Nero per via del suo lungo e aristocratico collo. Alla fine del processo si decide che la 21enne è morta "mentre faceva un pediluvio" e tutti  vengono assolti. La contessa Marianna anni dopo viene condannata per calunnia. Un'onta che ha poi provato a cancellare, anche con un appello alla Cassazione, respinto però solo pochi anni fa.

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