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Pena ridotta a stupratore perché "lei troppo disinvolta": la Procura generale fa ricorso

Lo sconto impugnato in Cassazione dopo la sentenza shock della Corte di Appello di Milano

È stata impugnata dalla Procura generale di Milano, facendo ricorso in Cassazione, la sentenza con cui  la Corte d'Appello milanese ha ridotto di 6 mesi la pena a un 63enne condannato per aver sequestrato, picchiato e violentato la sua compagna per una notte nella loro roulotte. Tra le motivazioni dello sconto (da cinque anni a quattro anni e quattro mesi) i giudici avevano addotto "la condotta troppo disinvolta della donna".

La vicenda

Nell'atto di impugnazione la Procura generale, con l'avvocato generale Nunzia Gatto, contesta sia la diminuzione della pena che è stata applicata sia le motivazioni con cui i giudici di secondo grado l'hanno giustificata. La ragione che aveva portato i magistrati a optare per uno sconto di pena nei giorni scorsi hanno suscitato molte polemiche e scosso l'opinione pubblica.

Nella sentenza i giudici avevano scritto che "in un contesto familiare degradato" e "caratterizzato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini", costituisce un'attenuante il fatto che lo stupratore, "soggetto mite" sia stato "esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna" che "aveva passivamente subìto sino a quel momento". Il 63enne aveva stuprato la donna per una notte finché non erano intervenuti i carabinieri, chiamati dalla figlia della coppia. A pronunciarsi sulla pena dell'uomo adesso sarà la corte di Cassazione.

Il commento

"È davvero preoccupante e pericoloso come precedente lo sconto di pena, stabilito dalla Corte di Appello di Milano, sulla base del giudizio costruito anche in considerazione della condotta 'troppo disinvolta' di lei, del degrado famigliare e della relazione tra i due - aveva commentato la senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione di inchiesta sul Femminicidio -. Ancora una volta la donna vittima si trasforma in soggetto imputato, ancora una volta agiscono pregiudizi e stereotipi culturali anche in un'aula di Tribunale, e questo è inaccettabile". 


 

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