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Il carcere di Monza è al collasso mancano agenti, medici ed educatori: la denuncia

I dati sono stati forniti dall'associazione Antigone durante un incontro pubblico a Monza

Celle sovraffollate, personale sotto organico e soprattutto mancano medici ed educatori. Questo il ritratto del carcere di Sanquirico a Monza illustrato dall’avvocato Enrico Vincenzini di Antigone, associazione nata alla fine degli anni Ottanta per i diritti e le garanzie nel sistema penale. 
Un quadro preoccupante quello fornito durante la serata organizzata giovedì 7 marzo a San Rocco, al centro civico, durante la quale si è parlato anche del caso di Ilaria Salis, l’insegnante monzese di 39 anni da 13 mesi detenuta in condizioni molto dure all’interno del carcere di Budapest con l’accusa (sempre rigettata dalla donna) di aver partecipato alle aggressioni di 2 neonazisti durante la giornata dell’onore che si celebra il 10 febbraio nella capitale ungherese. Ma durante la serata, oltre a fare il punto sulle condizioni carcerarie in Ungheria, si è illustrata anche la situazione carceraria in Italia e, dati alla mano, Monza non brilla. 

I numeri

I numeri forniti da Vincenzini non lasciano spazio ad equivoci: alla data del 29 febbraio 2024 erano 706 le persone detenute nel carcere di Monza rispetto alle 411 previste dal regolamento. Anche il numero del personale (conteggiato in base ai 411 detenuti che dovrebbero essere accolti nelle celle) è molto più basso: servirebbero 321 agenti, ma ce ne sono 280; sono previsti 8 educatori ma ce ne sono 6 così che ogni educatore dovrebbe seguire oltre 100 detenuti. A mancare sono anche gli psichiatri: ne sono previsti 11, in organico ce ne sono 7. 

Tanti malati psichiatrici e pochi medici

“Quella del carcere di Monza, così come molti altri carceri d’Italia, è una situazione di profonda sofferenza – ha spiegato l’avvocato Vincenzini -. Peraltro nella casa circondariale brianzola ad oltre il 20% dei detenuti è stata diagnosticata una malattia psichiatrica grave. L’équipe è molto attenta e svolge un grande lavoro, ma i medici non bastano”. Il rappresentante di Antigone ha illustrato i deficit del sistema penitenziario italiano e in primis quello del sovraffollamento: 61 mila i detenuti in Italia, con un incremento di 5 mila detenuti al mese. “Se si va avanti con questi numeri a breve raggiungeremo i picchi del 2013, quando c’è stata l’emergenza carceri e l’Italia è stata poi condannata per la violazione dei diritti umani nelle carceri”. 

Emergenza suicidi

Ma un’altra emergenza all’interno delle carceri italiane è quella dei suicidi: 20 dall’inizio dell’anno, 69 l’anno scorso. “Uno dei maggiori problemi è proprio quello del sovraffollamento – prosegue l’avvocato -. La mancanza di personale è una grave emergenza. Le carceri accolgono la parte più problematica della società e le persone una volta scontata la pena si ritrovano in una società esterna che non offre loro alternative. C’è la paura di un mondo sconosciuto che in alcuni casi porta le persone a compiere gesti estremi”. Parole molto dure quelle del rappresentante di Antigone in merito al sistema carcerario italiano. “Il carcere non è una struttura che rieduca – spiega -. Il tasso di recidiva nei casi di persone che hanno scontato la pena in carcere è del 68% mentre nelle persone che scontano la stessa pena (sotto i 4 anni) in sistemi esterni di affidamento in prova ai servizi sociali solo il 19% compie di nuovo il reato”. 

Come risolvere il problema carceri

Quale la soluzione per affrontare questa emergenza? “Amnistia e indulto sono, ad oggi, soluzioni poco auspicabili. Il detenuto va responsabilizzato ma, purtroppo, in carcere si lavora poco. Bisogna estendere le vie alternative al carcere. La maggior parte dei detenuti sono persone che hanno commesso reati contro persone, patrimonio e per spaccio. Ma è un problema se restano in carcere e non vengono offerti loro strumenti rieducativi, come previsto dalla Costituzione”. Così che, una volta chiusa alle spalle la porta del carcere, si ritrovano in una società che difficilmente offre opportunità lavorative, non hanno ricevuto nel frattempo una formazione professionale e rischiano così di cadere nella malavita

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