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Domenica, 28 Aprile 2024
Attualità / San Gerardo

La chiesa monzese trasformata in un "laboratorio" di radiologia: ecco perché

Folla di curiosi fuori dalle porte di San Gerardino

Nella giornata di giovedì 21 marzo gli occhi di decine di monzesi si sono focalizzati su quanto (di curioso) andava accadendo all'interno della piccola chiesa di San Gerardino, in prossimità dell'omonimo ponte sul Lambro. Fra i banchi dei fedeli, a far bella mostra di sé, c'erano infatti delle lastre radiografiche.

Il motivo? La personale dell'artista monzese Luca Melzi. Che ha letteralmente trasformato il luogo di culto in un laboratorio d'analisi del corpo e dello spirito mettendo in mostra le radiografie (da lui rimaneggiate attraverso il colore) del padre malato come pretesto per raccontare la via Crucis in occasione della Pasqua. Il progetto, sostenuto dalla Cooperativa La Meridiana, che gestisce gli spazi dell'Oasi San Gerardo, e possibile grazie all'organizzazione voluta da Paola Bertolotti, consta delle tradizionali 14 stazioni della Passione di Cristo, straordinariamente reinterpretate dall'artista monzese utilizzando come tela per dipingere proprio le lastre del padre. Indagando la sofferenza fisica, la morte, ma pure la Risurrezione in un unicum artistico di grande impatto.

Ad accompagnare la presentazione della mostra - Via Crucis, il titolo, visitabile fino al 3 aprile - il giornalista Andrea Loddo, che ha curato la critica delle opere e dialogato con l'artista. Conosciuto a Monza come "l'artista dei fiori" (espressione coniata per lui dal critico d'arte Vittorio Sgarbi) e da sempre fra i più prolifici in città.

La recensione 

"Nell’arte da sempre confluiscono sia fattori di tipo sociale, sia istanze di natura psicologica connesse a problematiche esistenziali tutte centrate sulla questione del senso della vita. Lo sanno bene gli artisti, il cui compito è quello di penetrare e decodificare l’essenza nascosta delle cose del mondo per poi renderla fruibile agli ignari. Ci sono verità, dunque, che per quanto crude o complicate vanno svelate.

Così Luca Melzi, impegnato a raccontare l’unica ineludibile meta verso la quale noi tutti siamo trascinati. Ovvero la morte.Per fare ciò sceglie una strategia alquanto rivoluzionaria, impiegando in modo del tutto inusitato delle lastre radiografiche. Più precisamente, si avvale di quello strano e moderno materiale plastico per comporre una Via Crucis (e quale dolore, se non quello inflitto al Figlio dell’Uomo, sintetizza meglio tutti i dolori fisici e psicologici che accompagnano la storia dell’esistenza umana? quale morte, se non quella sulla croce di Gesù, rappresenta l’evento escatologico per eccellenza?). Come ha avuto modo di evidenziare Martin Heidegger nel secolo scorso, la morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri.

Di qui, appunto, l’idea dell’artista di trasformare nelle ben note quattordici stazioni commemorative alcune delle radiografie fatte in ospedale dal padre. Strumenti di indagine diagnostica, questi ultimi, il cui utilizzo prevede che la luce perda la sua consueta funzione estetica per andare a scavare oltre la superficie esterna, oltre la pelle, per indagare la materia, la carne. Sottolineandone l’inesorabile corruzione, la consunzione, la malattia, l’intrinseca correlazione con la sofferenza. Senza inganni. Ma c’è di più. Attraverso quei radiogrammi Melzi tenta altresì di esplicitare un’altra verità. Attraverso quei radiogrammi vuole diffondere l’antichissimo messaggio secondo il quale dalla morte nasce la vita. Non soffre d’arroganza, la sua è una riflessione obbligata. La morte la si sperimenta tutti i giorni e congetturare intorno al concetto di risurrezione è da secoli quanto di più attraente per l’uomo. Ne scaturisce un viaggio catartico e liberatorio che vuole lasciarsi alle spalle la quotidianità terrena per inoltrarsi verso una superiore completezza. E’ una tappa comune a molte religioni (nella spiritualità orientale è quella via che porta alla cessazione della sofferenza e quindi all’illuminazione), qui dignificata nella Buona novella cara ai cristiani che parla di risurrezione, della Pasqua.

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Si focalizzi lo sguardo sulle opere. Le gittate di colore grigio e nero che vanno a disegnare il corpo prostrato del Cristo non sono altro che il pretesto per indirizzare lo sguardo di chi osserva verso quegli spazi bianchi che nelle immagini radiografiche sono le formazioni ad alto numero atomico e di spessore elevato, ossia le ossa e il mediastino. Eccola lì, in quei punti ben precisi, l’altra luce. L’altra immensa luce rivelatrice che è porta tra due mondi, squarcio ideale verso una terza dimensione, grandiosa promessa secondo cui nulla è perduto. Ancora, strada verso quell’oltre, verso quell’infinito nel quale il male è annullato e l’uomo finalmente si palesa nella compiutezza della condizione divina. Secondo il progetto originario dell’Altissimo. - Stavo alla finestra, ammirato nell’osservare i raggi del sole che trapassavano quella materia - racconta Melzi. Come nei quadri di Fontana, il dipinto diviene una superficie contenente una breccia. Ecco, accade che in questa meditazione su radiografie l’artista che si dichiara "non praticante" riesce invece a toccare in maniera egregia il senso più profondo del mistero cristiano, a esprimere una fede inevitabilmente lontana dal peso della retorica ma straordinariamente profonda, sentita, vissuta. Intrisa di speranza. Tanto da diventare una vera e propria sfida lanciata all’indirizzo del visitatore.

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Sbaglia, perlomeno in questo caso, chi accenna alla gradevolezza delle opere. Tutt’altro, sono opere terribili, inquietanti. Può un corpo deposto dalla croce risultare gradevole? No, certo che no. Qui il silenzio urla. E il colore che sembra non raffermarsi mai è vivo e vibrante come sangue. E non potrebbe essere altrimenti. La verità richiede coraggio. E’ un rito d’iniziazione difficilissimo. E Melzi lo sa. Dunque, perché simili visioni? Quale scopo precipuo? E’ un invito a non incapricciarsi con prospettive fallaci, limitate all’inesorabile e tragica avanzata della morte. Le ipotesi sono ormai certezze. L’artista diventa milite divino. E il Cristo in croce la più meravigliosa delle sovversioni estetiche, poiché Cristo tramite la croce ha sovvertito la storia e il mondo, facendo nuove - e belle - tutte le cose. Melzi ha sempre attentato alle convenzioni. C’è altro, c’è ancora luce, e non bisogna mai smettere di cercarla.

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