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Scienza

Dal sangue di un donatore sano le cellule per sconfiggere la leucemia linfoblastica acuta di tipo B

L'importante scoperta: dopo il trattamento una remissione completa della malattia è stata documentata in 18 pazienti su 27

Un’importante scoperta scientifica che infonde coraggio e speranza nei malati di leucemia linfoblastica acuta di tipo B. Una scoperta che parla (in parte) anche brianzolo. Dopo il trattamento una remissione completa della malattia è stata documentata in 18 pazienti su 27 (66,7%). Percentuali ancora più alte di remissione sono state osservate nei pazienti cui sono state somministrate dosi di cellule più elevate. Le cellule infuse si sono espanse rapidamente in vivo e sono rimaste misurabili nel sangue periferico per molti mesi indicando che le cellule CARCIK possono esercitare un controllo della malattia prolungato nel tempo.

È stato condotto dalla Fondazione Tettamanti di Monza e dall’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo lo  studio clinico di fase 1  27 pazienti (23 adulti e 4 bambini) con leucemia linfoblastica acuta tipo B. Lo studio ha dimostrato che la somministrazione di cellule CARCIK-CD19, linfociti T geneticamente modificati per aggredire le cellule malate, è ben tollerata dai pazienti, grazie a un livello di tossicità molto contenuto, e si rivela efficace nel portare a una remissione completa di malattia in oltre il 60% dei casi. I risultati sono stati presentati a Milano al convegno “Bioskills, terapie avanzate: ricerca, innovazione e risultati clinici”, organizzato dalla Fondazione Tettamanti.
 
Questo studio segna un ulteriore passo in avanti nello sviluppo delle cellule CARCIK che rappresentano un’evoluzione della terapia CAR-T. Infatti, a differenza di quanto accade nella terapia CAR-T standard (dove la fonte dei CAR-T deriva da una leucaferesi del paziente stesso), le cellule CARCIK sono ricavate dal sangue di un donatore sano attraverso un processo più semplice, meno costoso e meno invasivo che non richiede, peraltro, l’utilizzo di vettori virali (i virus inattivati, utilizzati nelle CAR-T per modificare il DNA dei linfociti e renderli cellule-farmaco contro il tumore). 

La modifica genetica nelle CARCIK avviene, infatti, attraverso i “trasposoni”, sequenze di DNA, che possono stabilmente modificare una cellula senza bisogno di vettori virali. La Fondazione Tettamanti ha sviluppato, insieme all’Ospedale Papa Giovanni XXIII, una piattaforma per la produzione di cellule CARCIK che sono utilizzate attualmente come approccio terapeutico per diverse forme di malattie onco-ematologiche recidivanti o refrattarie alle terapie standard ed al trapianto di midollo.
 
“La produzione non-virale ha costi che sono stimati di almeno dieci volte inferiori a quelli virali e offre una maggiore disponibilità di cellule terapeutiche in quanto si possono ottenere da un donatore che sia anche parzialmente compatibile (per esempio da un familiare o dalle cellule del sangue cordonale) – commenta il professor Andrea Biondi, direttore scientifico della Fondazione Tettamanti e dell’Irccs San Gerardo di Monza -. Questi elementi, uniti ai minori effetti collaterali, stanno suscitando grande interesse per le cellule CARCIK sia nel mondo accademico sia in una prospettiva di sviluppo industriale”.
 
“La sperimentazione delle CAR-CIK nei 27 pazienti coinvolti nello studio è stata caratterizzata da un profilo di tossicità molto contenuto sia in termini di sindrome da rilascio di citochine (CRS) che di neurotossicità che rappresentano le principali tossicità associate all’impiego di CAR-T – aggiunge il dottor Federico Lussana, medico dell'Unità di ematologia dell'ospedale Papa Giovanni XXIII e professore di ematologia dell'Università degli Studi di Milano -. Soprattutto, nessun paziente ha lamentato segni di malattia del trapianto contro l’ospite che rappresentava il principale obiettivo di sicurezza trattandosi di cellule ottenute non dal paziente ma da un donatore sano”.
 

Lo studio è stato condotto, nel ruolo di “principal investigators” da Andrea Biondi, direttore scientifico della Fondazione Tettamanti e dell’IRCSS San Gerardo dei Tintori di Monza e da Alessandro Rambaldi, professore di ematologia all'Università Statale di Milano e direttore del Dipartimento di oncologia ed ematologia dell'ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
 

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